Da quando vado in montagna sono sempre stato affascinato dall’alpinismo, non solo per le albe
poetiche o i silenzi più puri, tanto per il coinvolgimento mentale ed emotivo che quest’attività
richiede.
In alpinismo il rischio è tangibile e pur essendo legato spesso ti trovi solo, quest’essere vulnerabile mi ha sempre affascinato, mi spoglia di tutto e mi mette a nudo davanti a me stesso. L’alpinismo che ho ricercato nell’ultimo anno è stato un alpinismo abbastanza rischioso, mettermi in gioco in modo completo mi ha sempre regalato grandi emozioni e mi ha spesso dato importanti lezioni di vita, ho sempre cercato di vivere l’alpinismo come un mezzo per conoscere meglio me stesso.
Ma cosa succede se la sofferenza fisica e mentale iniziano a far tremare le fondamenta che ti sei
creato in anni di alpinismo?
Questa domanda me la sono posta dopo aver scalato il versante Nord dell’ Adamello in mezzo ad
una tempesta di neve con temperature di -30 gradi centigradi e raffiche a 60km/h, soddisfazione
enorme? Si, ma quella volta mi sono reso conto di aver superato di gran lunga la razionalità delle
mie azioni.
Dopo quell’uscita lasciai lo zaino intonso per due settimane, quando lo riaprii le viti da ghiaccio
erano ancora umide, rimasi scottato da quella salita ma l’amore per la montagna non finiva, andava solamente vissuto in altro modo, per lo meno per un periodo, d’altronde si sa, la coerenza è degli sciocchi. Ieri giocavo a fare l’alpinista ed oggi?
Oggi falesia.
Così dopo qualche mese mi trovo appeso al calcare di Kalymnos, una piccola isoletta greca a poche decine di chilometri dalla costa turca. Arrivare a Kalymnos per uno scalatore è come varcare la soglia del paradiso, immaginate un isoletta di 130 chilometri quadrati nella quale sono concentrate più di cento falesie e con più di 5000 tiri d’arrampicata. Non importa chi tu sia, se ami arrampicare, quando ti troverai a Kalymnos, passerai intere giornate con il naso all’insù, ad ammirare tutta quella semplice roccia che fa battere il cuore se guardata dagli occhi giusti.
In realtà le falesie sono concentrate principalmente nella parte occidentale dell’isola, nei pressi del paese di Massouri. E proprio li che i climber di tutto il mondo alloggiano, un paese di scalatori, una grande famiglia che si dirige in falesia la mattina ed al tramonto si ritrova in riva al mare a bere Mythos.
La temperatura a fine settembre è eccezionale, si scala a torso nudo tutto il giorno mentre davanti a noi si staglia immenso il Mar Mediterraneo, c’è roccia per tutti i gusti, dalle vie lunghe, al deep
water alle fantastiche falesie. Già, le falesie sono la perla dell’Isola, dalle semplici placche
appoggiate ai lunghi tetti strapiombanti, anche se le linee più affascinanti e caratteristiche di
quest’isola rimangono i lunghi viaggi da quaranta metri nei quali bisogna danzare in punta di piedi in un dedalo di stalattiti calcaree dalle più varie forme.
Come dicevo il numero delle falesie ha raggiunto la terza cifra, tutto ebbe inizio nell’ormai lontano 1996 quando il romano Andrea di Bari, trovandosi lì per puro caso in viaggio di nozze, scoprì tutte quelle incredibili pareti, dieci mesi dopo chiodò la prima falesia, Arhi, e da li un fiume di spit inondò letteralmente l’isola. Tante sono le falesie belle, dall’imponente Grande Grotta che sembra fare da cornice alle varie isole del Dodecaneso a Sikati Cave, una falesia nata dal cedimento del tetto di una grotta alla quale si accede con una calata e l’unica cosa che si vede quando si scala è il cielo.
Insomma, sarà per il tepore autunnale, la genuinità degli abitanti del posto o il clima letteralmente
paradisiaco nel quale ci si immerge una volta arrivati a Massouri ma questa Grecia è un toccasana
per chi come me è alla ricerca di se stesso e del proprio equilibrio, rivisitando una citazione di
Jeffrey Rasley, se sei in cerca di angeli o in fuga dai demoni…vai a Kalymnos.
tag: Alpinismo arrampicata al mare Kalymnos
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